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Paola Mancini
La raccapricciante vicenda del bambino “arrestato”

Siamo tutti turbati, sconvolti, rammaricati, dalla vicenda del bambino di 10 anni prelevato a forza dal padre e dalla polizia per eseguire un provvedimento dell’autorità giudiziaria che prevedeva il collocamento del minore in una comunità.
C’è un video, fotogrammi confusi che ci raccontano 4 minuti di una lunga storia.
Non possiamo pronunciarci su questa storia, ma di storie così se ne vedono a migliaia nei servizi sociali, ingolfati da “separazioni ad alta conflittualità”, così le chiamano, in cui nessuno si separa ma ci si dilania e basta. In verità quelli che vengono fatti a pezzi sono proprio i bambini.
È molto facile vedere la follia di un padre che prende a forza il proprio figlio con l’aiuto della polizia in borghese, meno facile è vedere tutte le altre follie che stanno dietro a questi fotogrammi.
Ma la complessità non va di moda in questo periodo di slogan, leader, short video e fast food. Un video improvvisamente fa vedere che esistono realtà dure, terribili: tutti sanno che esistono ma ciascuno fa finta di non vedere. Ancora una volta il Grande Fratello ci racconta un fatto e questo improvvisamente diventa finalmente realtà. Dunque dovremmo ringraziare quella zia che filma col telefonino e urla disperata, invece di rassicurare il bambino aiutandolo a recuperare serenità. Certo non può farlo, non ha una serenità interiore. Immaginiamo che neanche il padre l’abbia. Molto probabilmente neanche la madre.
Ma vorrei non parlare di questa famiglia che conosciamo così poco e di questo bambino, già così pesantemente penalizzato dalla sua storia, dal trauma dell’allontanamento forzato e ora anche dalla stigmatizzazione televisiva e mediatica.
Vorrei parlare di tutti i bambini che si trovano a passare nel tritacarne della gestione delle separazioni conflittuali. Pensiamo che solo il prelevamento forzoso sia violenza? E le violenze psicologiche, la violenza assistita, le violenze verbali, sono forse meno dure? Quella che abbiamo visto con i nostri occhi è ahimè solo la punta di un Iceberg profondissimo e immenso che richiederebbe tempo per essere compreso e volontà politica per essere sciolto.
Perché si arriva a questo? Come si potrà evitare di ripetere questo errore – o i tanti errori di questo tipo – in futuro?
Queste due banalissime domande richiedono risposte molto articolate.
Il bambino conteso tra due genitori separandi e/o separati - io direi divisi, quasi mai separati, se lo fossero davvero non avrebbero bisogno di guerra – è un bambino spezzato in due che, finché potrà, cercherà un equilibrio e una relazione con entrambi i genitori poiché li ama entrambi (Vi ricordate la scema domanda che vi facevano da piccoli “ma tu vuoi più bene a mamma o a papà” e tu li avresti strozzati…?). Poi quando la sofferenza supererà un certo limite, il bambino si schiererà dalla parte di uno dei due genitori, in genere la madre. Meno frequentemente capita che i bambini si schierino dalla parte del padre e non vogliano più vedere la madre, ma capita anche questo. Questi comportamenti rappresentano probabilmente l’estrema difesa nei confronti di un dolore troppo forte. Siamo tutti d’accordo che andrebbero trattati con rispetto.
Capita però assai spesso che i membri della coppia coniugale sono devastati dal loro personale dolore e che proprio non possano vedere quello del figlio, possono arrivare a confonderlo col proprio (se tu mi fai così soffrire pensa che puoi fare al bambino). Sono persone profondamente addolorate e impaurite che provano a gestire queste emozioni coprendole da una potente carica rabbiosa più o meno controllata, più o meno agita.
I bambini per lo più non possono essere visti dai genitori, d’altro canto questi non possono vedere neanche se stessi, le proprie reali emozioni.
Allora sarà più facile lottare, denunciare, rivalersi, ricorrere all’autorità giudiziaria, a qualcuno che ci dica cosa fare, chi ha ragione, cosa è giusto…
Allora un giudice interviene a far chiarezza e pone una domanda: “Qual è l’interesse del minore”?
Il giudice, già sufficientemente oberato di lavoro, chiede ai Servizi Sociali super-oberati di lavoro, di fare un’indagine sociale sulle condizioni del minore e di fare una proposta di affidamento e regolamentazione, tenendo appunto conto dell’interesse del minore. Ma la faccenda non è semplice, i bambini non sempre sono in grado di comunicare esplicitamente quello che hanno dentro, così i Servizi Sociali chiedono la collaborazione ai Servizi territoriali specialistici della ASL che, stra-oberati di lavoro, cercheranno di fare del loro meglio, nei tempi e nei modi possibili. La documentazione dei Servizi Sociali e quella della ASL, se non anche quella di eventuali Consulenti tecnici d’Ufficio e di parte, arriverà al giudice che prenderà una decisione… Cercherà di inquadrare quell’inteso mondo emotivo in un provvedimento dotato di senso. Nel frattempo saranno passati sei mesi, un anno, due, a volte di più. E poi assai spesso questi provvedimenti – che contengono spesso soluzioni organizzative e solo raramente interventi specialistici - seppur ragionevoli (a volte più, a volte meno) sono comunque inattuabili perché se non si scioglie la radice della conflittualità, ogni piccolo problema sarà l’occasione per alimentare il fuoco della rabbia tra i due che continueranno a non rispettare i provvedimenti alimentando la spirale delle denunce e dei ricorsi.
Ora per sciogliere la conflittualità e/o riattivare quel minimo canale di comunicazione tra due genitori, occorrerebbero una serie di interventi (psicologici, sociali, educativi a volte psichiatrici) di alta professionalità e spesso di non breve durata, interventi che solo raramente sono accettati di buon grado dalla coppia ma che più spesso devono essere inseriti in un contesto giudiziario coattivo appropriato.
Questo vuol dire che operatori del sociale, della sanità, delle forze dell’ordine e giudici dovrebbero poter avere un dialogo e una reciproca comprensione per co-costruire un quadro coerente che restituisca un orizzonte di senso a vicende che rischiano di protrarsi in devastanti escalation simmetriche senza fine. Dove non c’è mai fine al dolore e in cui il rischio dell’instaurarsi di psicopatologia gravi nei bambini è altissimo.
Questi operatori dovrebbero essere in numero sufficiente, avere il tempo da dedicare a questi casi complessi e la professionalità per affrontarli.
Qualcuno dei politici e degli amministratori turbati, sconvolti e rammaricati, conosce per caso le condizioni in cui lavorano i Servizi Sociali, i servizi territoriali delle ASL, i Tribunali dei Minorenni e le Forze dell’Ordine?
Qualcuno sa che nelle stanze delle Procure e del Tribunali dei Minorenni si accatastano pile di fascicoli talmente alte che si può arrivare ad aspettare anni per provvedimenti di tutela? Qualcuno si domanda perché mancano oltre che risorse economiche anche professionalità diversificate in grado di affrontare con competenza, efficacia ed efficienza, le nuove e gravi problematicità in cui si trovano i bambini in famiglie sempre più in bilico?
Perché non vi è una seria selezione in entrata nelle ASL e nei Servizi Sociali, perché non vi è un serio aggiornamento delle professionalità della Pubblica Amministrazione, perché non vi sono procedure consolidate e concretamente realizzabili di aiuto alle famiglie, perché i Servizi all’Infanzia e alle Famiglie sono sempre i primi a subire tagli in tempi di contrazione delle spese?
Allora alla fine, possiamo anche scandalizzarci di fronte a un video shock, recriminare i poliziotti che hanno preso a forza un bambino, ma poi se ci vogliamo domandare che cosa si può fare affinché cose del genere non succedano mai più, dobbiamo poterci rendere conto che la risposta va cercata nelle responsabilità culturali, politiche, amministrative, professionali e personali che nessuno di noi vuole prendersi fino in fondo. Ognuno di noi è responsabile per quel bambino che ci ha commosso ma che non possiamo dimenticare appena si spegne una webcam. Questa è la grande vera follia collettiva.

13/10/2012

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