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Paola Mancini
Bambini in casa famiglia, perché.

Un tempo c’erano gli orfanotrofi, istituti dove trovavano rifugio orfani, bambini abbandonati a se stessi, senza genitori in grado di prendersi cura di loro… Pian piano la sensibilità culturale della nostra società ha prodotto una nuova attenzione alla crescita dei bambini e, dopo gli studi di molti scienziati che dimostravano gli effetti dannosi della istituzionalizzazione, si è arrivato a comprendere come sia importante per i bambini vivere in famiglia. Nel 2006 dunque sono stati chiusi tutti, o quasi, gli istituti d’Italia. Ma nella consapevolezza che i bambini senza genitori, o parenti in grado di prendersi cura di loro in maniera sufficientemente adeguata, sarebbero comunque rimasti, sono state previste strutture residenziali di tipo familiare dette Case famiglia, strutture che possono ospitare fino a un massimo di 6/8 bambini in cui è presente personale professionale ma che sappia anche svolgere un funzione affettiva di riferimento simile a quella genitoriale.
La sensibilità culturale che ha portato alla nascita delle case famiglia è la stessa che ha profondamente cambiato i Servizi Sociali dei Comuni. Gli operatori del settore, assistenti sociali, psicologi, educatori, lavorano affinché a ogni bambino possa vivere nella propria famiglia e, laddove non sia proprio possibile, in un contesto familiare altro, sia esso una famiglia affidataria, sia esso una casa famiglia.
L’intervento primo è, sempre e comunque, il sostegno alla famiglia del bambino, percorsi individualizzati di recupero di difficoltà educative, affettive e sociali. Molti nuclei familiari si lasciano aiutare e trovano negli interventi psicosociali ed educativi i sufficienti stimoli per ritrovare quell’equilibrio familiare necessario alla serena crescita dei figli.
Esistono però genitori, spesso altrettanto amorevoli degli altri, che non si rendono conto del potenziale danno che infliggono o stanno per infliggere ai loro figli. Vi sono genitori che hanno avuto un’infanzia, che spesso non ricordano, così dura da essersi induriti. Questi genitori necessitano di aiuto, anche se spesso non lo riconoscono; nessuno gliel’ha mai dato, hanno bisogno di più tempo.
I loro bambini però a volte non possono attendere e, per quanto bene vogliano loro, hanno bisogno di un posto dove ritrovare la serenità. Un posto per ritrovare la serenità può essere una famiglia affidataria, a volte può essere un parente, a volte c’è bisogno di un posto dove circoli affettività ma ci sia anche tanta professionalità.
I bambini che hanno subito maltrattamenti, più o meno intenzionali, hanno a volte dei problemi affettivi e comportamentali complessi che non sono sempre facili da gestire neanche dalle famiglie più esperte. Per questo nascono le case famiglia.
Un bambino rimane in casa famiglia il tempo necessario a elaborare un progetto di sostegno alla famiglia che può comprendere anche un affidamento familiare. Per realizzare questo progetto ci vuole del tempo: professionalità, impegno, organizzazione, etica.
È nella complessità di questo processo che va ricercata la ragione che sta alla base degli eventuali errori da parte dei servizi sociali e dei giudici. Errori che possono assumere i toni che alimentano il vecchio stereotipo delle assistenti sociali ladre di bambini oppure quelli della difficoltà umana che va sostenuta attraverso azioni politiche, culturali, professionali, amministrative serie e competenti.
Quello che possono fare invece i genitori di questi bambini (e tutti coloro che sono loro vicini) è collaborare con pazienza e fiducia, a volte difficile da rintracciare dentro di sé in momenti così difficili, con gli operatori dei servizi, aprirsi per scoprire che insieme col tempo si possano produrre cambiamenti importanti in grado di migliorare le relazioni familiari in una direzione addirittura insperata.

13/04/2012

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